Che razza di libro!

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Autore: Jason Mott

Editore: NN Editore

Pagine: 320

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Uno scrittore americano ha appena pubblicato un libro di successo: durante il tour promozionale, fra interviste, avventure amorose e sbronze colossali, incontra un ragazzino dalla pelle nerissima che da quel momento in poi lo segue come un’ombra. A ogni tappa il Ragazzino racconta qualcosa di sé, affermando che i suoi genitori gli hanno insegnato a diventare invisibile, per proteggersi dalla brutalità del mondo. E in effetti, lo scrittore è l’unico in grado di vederlo, ma poiché è affetto da una strana malattia che gli impedisce di distinguere la realtà dal sogno è certo che si tratti di una semplice allucinazione. Ben presto, però, le sue visioni hanno il sopravvento, mettendolo di fronte a un passato che da sempre cerca di sfuggire, una verità che preme per liberarsi e ritrovare corpo e voce. Commovente e feroce, esilarante e tragico, Che razza di libro! è la storia di un bambino che vede nell’invisibilità una promessa di vita, e di un uomo che vorrebbe uscire dalla propria pelle, per nascondersi dalla violenza. Con una lingua brillante e arguta, Jason Mott mette a nudo discriminazione e pregiudizio, mostrandoci la possibilità di un mondo dove il colore non è più un confine.

Cosa ne penso

La prima cosa che si pensa leggendo “Che razza di libro!” è, appunto, che razza di libro! Questo perché ci troviamo di fronte ad un protagonista, del quale non sappiamo il nome, che è autore egli stesso di un romanzo intitolato “Che razza di libro!”, del quale non sapremo mai il contenuto. Il successo di questo suo primo romanzo porterà il giovane scrittore a viaggiare per gli Stati Uniti, in un tour promozionale fatto di interviste spesso pilotate e allo stesso tempo confuse, ricco di sbronze e di avventure sessuali. Tanto per aggiungere stupore e originalità a questo romanzo, Jason Mott affibbia al protagonista una sindrome mentale che causa al giovane anonimo romanziere allucinazioni e dunque l’incapacità di distinguere cosa o chi sia reale o meno. 

La seconda cosa che si pensa andando avanti con la lettura è che la parola razza usata nel titolo del romanzo è da riferirsi al significato proprio del termine, nello specifico alla condizione razziale dei neri negli Stati Uniti d’America che, come tristemente sappiamo, è ancora oggi una questione scottante e per molti versi vergognosa visto il razzismo dilagante, persino nella polizia. A questa riflessione il lettore giunge grazie alla figura di un personaggio chiave del romanzo, un ragazzino che soltanto il protagonista è in grado di vedere, anch’egli senza nome, conosciuto con il soprannome di Nerofumo vista la straordinaria nerezza della sua pelle.

La trama si dipana attraverso l’alternanza delle vicende dello scrittore sempre più scollegato dalla realtà, alla ricerca di un passato forzatamente rimosso tanto da rifugiarsi nelle allucinazioni e tanto da non rendersi conto di essere egli stesso nero, e quelle di Nerofumo, giovane ragazzo del North Carolina, bullizzato per il colore della sua pelle, al quale i genitori, in un vano e triste tentativo di protezione, hanno insegnato come divenire invisibile per poter essere introvabile e al sicuro dalla violenza del mondo che lo circonda. 

Il romanzo, dopo una prima parte ironica, brillante e onirica, diviene sempre più triste e cupo. Gli eventi dei personaggi lasciano sempre più spazio, e più pagine, alla riflessione che, seppur necessaria e interessante, risulta a tratti ripetitiva e routinaria. La narrazione inizia così ad avvolgersi su se stessa fino ad un crescendo finale nel quale le esistenze del giovane romanziere e di Nerofumo s’intrecciano fondendosi e confondendosi, la realtà si mescola con il fantastico, ogni passaggio diviene strumento per la veicolazione di un messaggio che Jason Mott, per sua stessa ammissione, sente il bisogno di divulgare: essere un nero in alcune zone degli Stati Uniti d’America è sinonimo di abusi, soprusi, di un destino molte volte già segnato e molte, troppe volte di morte. Persino coloro che dovrebbero proteggere e difendere sono portatori di razzismo e di ingiustizia. 

Lo stile letterario di “Che razza di libro!” risulta piacevole, scorrevole specialmente nelle prime parti; le parole sono sapientemente soppesate ed utilizzate per il fine ultimo che è quello di creare stupore, meraviglia e di parlare di accettazione del sé, dell’essere neri e di far parte di una grande fetta di popolazione americana che deve ancora oggi fare i conti con la disuguaglianza. In “Che razza di libro!” Jason Mott è riuscito a parlare di razzismo, un argomento più volte divulgato nella letteratura americana, in maniera singolare, stravagante e nuova. 

VOTO: ⭐️⭐️⭐️⭐️/5 (4/5)

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